Viterbo - Il Teatro Unione
L'architettura neoclassica si estese dai primi anni del '700 fino a tutto l'800, si trasformò nell'Eclettismo.
In particolare in Italia l'eclettismo si diffuse nella versione neorinascimentale dalla metà fino alla fine dell'800.
Il teatro dell'Unione di Viterbo rispecchia perfettamente la concezione neoclassica, con un equilibrio proporzionale
di verticali e orizzontali in un'ampia facciata di due ordini, il dorico e lo ionico, con grandi finestre, sormontate da una
sorta di "attico", al di sopra del quale si erge un grande timpano. La pianta del teatro è rettangolare; la sala è
semicircolare, ossia a ferro di cavallo, con pareti ricurve e quattro ordini di palchi, il loggione, la galleria e il palcoscenico.
Primi anni di attività: l'ottocento
La posa della prima pietra avvenne il 28 Novembre 1846. Il progetto prescelto fu quello dell'architetto Vespignani di Roma.
Allo stesso architetto si deve il progetto di vari teatri eretti in quel periodo nello Stato della Chiesa, oltre ad altre opere
pubbliche nella stessa Viterbo, come il cimitero di S. Lazzaro. L'impulso che fece nascere il teatro dell'Unione fu dunque
la grande passione, comune a quasi tutte le principali città italiane, per l'opera lirica. Non a caso
l'inaugurazione del teatro avvenne nel 1855 con la stagione lirica che durò dal 4 agosto al 25 Settembre.
Il programma comprendeva tre melodrammi e un balletto:
Negli anni che seguirono, fino al 1870, che sancì l'annessione di Viterbo al resto d'Italia, le stagioni teatrali
ebbero alterne fortune. Solo nel 1867 si ebbe un altro grande trionfo, con Cesare Pinzi primo tenore. A lui,
secondo l'uso del tempo,andarono regali preziosi, omaggi floreali e sonetti. Anche tre balli, con Elvira
ma si concluse anzitempo per la fuga dell'impresario, che lasciò Viterbo senza pagare gli artisti. Questi non
conclusero l'ultima recita e il giorno seguente invasero il comune, costringendo il sindaco, Giacomo Lomellini
d'Aragona, a deliberare il pagamento del personale, circa cento persone esasperate. L'amministratore utilizzò
il deposito di garanzia di £ 3.000, più £ 1.000 dei propri fondi a fronte di un debito di £ 5.000.
Dal 1900 alla seconda guerra mondiale
Col passaggio di secolo, nel 1900, il teatro ospitò anche alcuni spettacoli cinematografici.
Anche le cronache del teatro però si fanno più rare, in quanto nel 1902 si spense il conte Cesare Bruscagli, al quale
si deve la preziosa testimonianza della "Cronaca teatrale", da cui sono tratte gran parte delle notizie qui riportate.
Nel 1905 cadde il cinquantenario dell'inaugurazione che fu celebrata con particolare solennità: il Comune
commissionò all'ing. Aldo Netti il progetto di illuminazione, per il quale furono utilizzate ben 700 lampadine.
Una lapide commemorativa fu collocata nell'atrio, con particolare dedica al conte Cesare Pocci. Ora quella lapide,
con lo stemma di Viterbo scalpellato, giace in un magazzino del teatro. Nel 1914 debutta all'Unione un grande
cantante lirico viterbese, il baritono Fausto Ricci, un giovane autodidatta scoperto per caso mentre cantava dall'alto
di un'impalcatura a Roma, intento al lavoro di decoratore.
Nel 1919, invece, vi debuttò il famoso tenore Giacomo Lauri Volpi, che si esibì all'Unione nei "Puritani"
e quindi replicò nel "Rigoletto". Nel 1920 un comitato di cittadini si costituì in impresa lirica, per far rappresentare
a Viterbo un'opera del maestro viterbese Adriano Ceccarini, dal titolo "Dona Rios". Nel 1935 si ebbe un
concerto sinfonico e corale con 70 musicisti e 100 coristi, con la direzione del maestro viterbese Amedeo Cerasa.
Furono poi eseguiti due intermezzi delle opere liriche del viterbese Adriano Ceccarini: "Lia" e "Dona Rios".
Il palcoscenico
Il palcoscenico è uno degli elementi caratterizzanti del teatro Unione: è di proporzioni molto grandi ed in grado di
ospitare produzioni di notevole importanza. All'epoca fu fatto in funzione di opere liriche che prevedevano grandi scenografie.
L'attuale uscita di sicurezza sul fondo del palco serviva ad introdurre carrozze e cavalli per particolari rappresentazioni.
Il boccascena ha un'apertura di m. 11.50, con un'altezza al graticcio di m. 18 e una profondità utile di m. 16.50.
In una descrizione dell'epoca leggiamo: " il palcoscenico che occupa la parte posteriore è largo palmi 120, e lungo palmi 108.
E' riccamente fornito di quanto occorre per vari movimenti di scenario, di meccanismo e d'illuminazione;
il palcoscenico, di cui già indicammo la superficie, è un grande spazio affatto libero senza alcuna divisione
di muri o di pilastri, ed ha nel fondo una ampia porta corrispondente al livello della strada posteriore,
per dove possono introdurvisi carri ,cavalli e quanto altro può occorrere ai più grandiosi spettacoli.
Il tetto che gli sovrasta è basato su valide incavallature di grossi travi che sorreggono al tempo stesso le doppie
graticciate ove è situato un ben intenso meccanismo per i cambiamenti di scenario. Il meccanismo delle quinte e della
illuminazione è esatto ed ingegnoso per quanto è semplice e serve regolarmente all'effetto senza molta fatica e difficoltà..."
Il dopoguerra: la ricostruzione
Il teatro fu duramente danneggiato durante i bombardamenti che colpirono la città nel 1943-44. Fu a seguito degli
eventi bellici e per necessità di reperire ingenti somme per la sua ricostruzione che ebbe fine il condominio tra
Società dei palchettisti e Comune, che aveva fino ad allora amministrato il teatro. Il Comune divenne
proprietario al 100% (fino ad allora lo era stato per 1/3, pur partecipando al 50% delle spese) il 9 Dicembre 1949
con decreto prefettizio. Solo così lo Stato potè concedere i contributi necessari alla ricostruzione, vale a dire con la
completa trasformazione dell' Unione in teatro pubblico. Lo stabile fu rifatto quasi per intero, ad eccezione dei
palchi e della facciata. La nuova decorazione pittorica del soffitto della sala fu opera del viterbese Angelo
Canevari. Un altro artista cittadino, Felice Ludovisi, dipinse le tele del soffitto dell'atrio e della biglietteria.
I medaglioni dell'atrio, raffiguranti alcuni grandi compositori, furono eseguiti dal pittore Badaloni.