Il "Volo
d'Angeli"
La Macchina a Piazza
del Teatro
Il trasporto del
1967 fa certamente parte della storia della città. E' ben vero che sono
documentati degli incidenti,
occorsi durante i
vari trasporti della macchina di santa Rosa: nel 1758 cade alla "mossa" ma si
riesce a rimetterla in piedi
e ad effettuare il
percorso. Nel 1776 cade in piazza del Comune; nel 1786 cade a piazza del Teatro;
nel 1801 si incendia
in piazza delle
Erbe. Ma il "fermo" della macchina in via Cavour, unico incidente accaduto in
tempi moderni, è ancora
ben vivo nella mente
di tutti i viterbesi. Riporto per intero il capitolo dal titolo "3 Settembre
1967: la macchina si ferma"
dedicato al primo
trasporto del "Volo d'Angeli", tratto dal libro "La Macchina di santa Rosa
tra cronaca e storia"
di Giorgio Falcioni
(Quatrini Editore, Viterbo, 1968).
Solo una piccola
precisazione: la sera del 3 settembre 1967, dopo che la macchina venne fermata
sui cavalletti in via Cavour,
mi trovai, bimbo di
otto anni, al pronto soccorso dell'ospedale vecchio (che all'epoca si trovava a
fianco del palazzo papale)
e vidi con i miei
occhi i lividi enormi (almeno così apparvero ai miei occhi di bambino) sulle
spalle di alcuni di quei
facchini che erano
rimasti sotto la macchina senza mollare ed udii i loro racconti.
La Macchina ferma in via
Cavour
Non pretendo di
fornire la verità (figuriamoci) sul fermo della macchina, mi limito a riportare
quello che raccontarono i
protagonisti
dell'evento. In estrema sintesi i facchini dissero che durante la discesa di via
Cavour c'era stato un forte sbandamento
e che le "spallette"
esterne erano finite con i piedi sul marciapiede della via. Questo provocò un'
"accollata" terribile che
i facchini più
"giovani" (testuale) non solo non ressero, ma sembra che alcuni di loro si
togliessero di sotto la macchina.
L'accollata ed il
peso aggiuntivo non più sostenuto da quelli che si erano tolti causò, a detta
dei facchini, il fermo.
Appare più che
plausibile, se vogliamo dar credito al racconto di chi era lì, che si sia
evitata una strage tra il pubblico
grazie a chi è
rimasto al suo posto stringendo i denti ed attendendo i cavalletti sui quali poi
la macchina è stata posata.
In ogni caso, a mio
parere, il "Volo d'Angeli" di Zucchi rimane la
più bella macchina che Viterbo abbia mai visto.
Giuseppe Zucchi
3 Settembre 1967: la macchina
si ferma
"La macchina vive una sua vita
particolare che, ogni anno, vede un nuovo episodio aggiungersi ad un
susseguirsi di
fatti clamorosi, di successi entusiasmanti, di lutti, di
discussioni polemiche. Ma ogni capitolo che si aggiunge a questa storia,
non
fa che rinnovare l'interesse, la devozione, l'impegno dei viterbesi per la
loro macchina. Il 3 Settembre 1967, mentre
più intensa che mai è l'attesa
della città per il "campanile che cammina", un episodio clamoroso e quasi
incredibile offre
ampie possibilità alle cronache e alle discussioni
cittadine. A seguito di un concorso bandito dal comune, la macchina è
stata
rinnovata; hanno partecipato alla gara due soli concorrenti, Franco Fiorucci
e Giuseppe Zucchi, un artigiano
quest' ultimo, che per lunghi
anni è stato "facchino" agli ordini di diversi costruttori. Viene prescelto,
da una commissione
nominata dal consiglio
comunale, il progetto Zucchi che presenta rilevanti innovazioni rispetto ai
tradizionali modelli.
La Macchina ferma in
via Cavour
Per prima cosa, la
macchina di Zucchi si lancia in alto, raggiungendo un'altezza da vertigine,
30 metri esatti;
inoltre il disegno esce dagli schemi ormai consueti negli
ultimi anni, oscillanti tra stile gotico e stile moderno,
per acquistare una
diversa misura stilistica che riscuoterà, poi, unanimi consensi. La
costruzione della macchina
procede senza soste fino a giungere alla vigilia
del trasporto, con la mole approntata in ogni sua parte. I giornali
registrano, senza conferme e senza smentite, una polemica tra progettista -
costruttore e l'ing. Raniero Perugi,
incaricato della parte
tecnica; questi vorrebbe un breve percorso di prova, per controllare
eventuali inconvenienti,
ma incontra l'opposizione del
costruttore. La sera del 3 Settembre l'attesa è spasmodica; è praticamente
impossibile
accertare quante migliaia di
persone siano ad attendere sul percorso e, di certo, i viterbesi sono in
netta minoranza.
Alla "mossa", mentre la
macchina sbuca dalla tettoia, la mole ha uno sbandamento sulla propria
destra che i "facchini"
riescono a stento a contenere;
l'acclamazione della folla si attenua nel timore e nella sorpresa, ma la
torre luminosa
prosegue, sia pure fortemente
inclinata e con un ondeggiamento innaturale.
La Macchina a santa Rosa
Molti viterbesi, di quelli che
conoscono ormai da decenni tutti i segreti del trasporto, cominciano a
nutrire perplessità;
i facchini ansimano, piegano
le ginocchia, urlano e imprecano, ma riescono a giungere fino a piazza
Fontana Grande.
La sosta è accolta come la
liberazione da una punizione ingiusta. Mentre si rimette in sesto l'impianto
di illuminazione
che presenta degli
inconvenienti (ma la cosa capita spesso al primo trasporto), alcuni facchini
cominciano a protestare
per l'enormità del peso cui
sono sottoposti; qualcuno è costretto a ripigliare anzitempo la via di
casa per qualche acciacco;
altri si rifiutano di
proseguire. Il costruttore incita i suoi uomini, mette "sotto" le riserve e,
dopo una sosta prolungatasi
assai oltre il normale, ordina
nuovamente la partenza: appena sollevata la macchina si piega nuovamente
sulla
destra e così procede per
qualche decina di metri.
La Macchina a Santa
Rosa
In via Cavour, all'altezza del
palazzo dell'amministrazione provinciale, un nuovo sbandamento porta quasi
sul limite
esterno della strada l'enorme
mole che si arresta; i facchini invocano i cavalletti per poter posare
la macchina.
Nella baraonda che si
verifica, c'è chi non perde la testa e riesce a far mettere a posto i
cavalletti su cui si poggia,
sbilenca per la pendenza della
strada, la costruzione. Alcuni facchini quasi non riescono a tirarsi fuori
dai loro posti,
tanto sono esausti, altri
debbono recarsi all'ospedale, ove uno viene ricoverato per la sospetta
frattura di alcune
vertebre cervicali. Nonostante
i tentativi e le preghiere del sig. Zucchi, ben pochi dei facchini
vorrebbero tentare
di far compiere alla macchina
i dieci, quindici metri che la separano dal punto previsto per la sosta di
piazza
del Comune. Mentre il
costruttore, disperato e sconvolto, si allontana, iniziano le prime
discussioni.
Intanto le file si
riorganizzano, i facchini si inquadrano di nuovo; sconvolti dalla fatica e
con il volto rigato di lacrime
sfilano fino alla chiesa di
santa Rosa, tra una folla che partecipa commossa al loro dolore che è poi il
dolore dell'intera città.
Via Cavour
Il giorno dopo, mentre un
diluvio di pioggia bagna la bella costruzione, si indaga per ricercare le
cause. Si dice, dapprima,
che alcuni facchini erano
stati reclutati tra persone inadatte e non abituate allo sforzo che poteva
essere richiesto;
di conseguenza, la maggiore
altezza della macchina con le più violente "accollate" ha messo ben presto
fuori causa
gli improvvisati facchini,
mentre quelli in grado di reggere il peso hanno dovuto cedere, essendo
diminuito il
numero dei portatori
effettivamente impegnati. Viene constatato, anche, che, rispetto alle
precedenti costruzioni,
sono state eliminate le
"stanghette" avanti e dietro che avevano lo scopo di rompere la "tratta" e
di attenuare le "accollate";
che i facchini a "ciuffo"
avevano a loro disposizione uno spazio eccessivamente angusto che rendeva
difficile
ogni movimento. Viene notato
che la causa potrebbe ricercarsi nella nuova struttura metallica della
macchina,
trasformatasi da piramidale in
cilindrica, con il conseguente innalzamento del baricentro.
La Macchina in Piazza
del Comune
Le polemiche si
svolgono a ritmo incalzante e con toni piuttosto vivaci, finché non si
decide di smontare la macchina
e di procedere alla pesatura di tutte le
parti che la compongono: il peso risulta di 57 quintali e mezzo, con una
media,
a macchina ferma, di circa 70 chilogrammi a testa. Poi, con il passar
dei giorni, tutto si placa. La ricerca di una causa
determinata e
determinante appare impossibile, per il concorrere - nel trasporto - di
tanti e così vari fattori umani e
nozioni tecniche. Dal canto suo il prof.
Mario Signorelli, studioso di storia viterbese e cultore di problemi
metapsichici,
annuncia, suscitando stupore e scetticismo, che aveva
"sentito" qualche ora prima della partenza, che la macchina non
avrebbe
compiuto l'intero percorso. Egli aggiunge che sono stati i perispiriti
etruschi a far arrestare la mole e fornisce
la ragione di tale
comportamento affermando che la cosa ha il valore di avvertimento per i
gravi eventi che incombono
sull'umanità. Di tali eventi,
però, i viterbesi non tengono conto e cominciano a pensare al trasporto del
1968".
14 Luglio 1968: per evitare il
ripetersi di incidenti, nelle prime ore del mattino viene
effettuato un trasporto di
prova con l'intelaiatura della macchina zavorrata.