VITERBO: IL PROCESSO CUOCOLO
All'alba del 6 giugno 1906, in
Contrada Calastro a Torre del Greco, provincia di Napoli, venne rinvenuto
il
cadavere di Gennaro Cuocolo, basista della camorra, con il capo massacrato da
colpi di bastone, sul corpo
almeno quaranta coltellate e stilettate. A Napoli,
qualche ora più tardi, nell'appartamento in via Nardones,
venne scoperto il
corpo senza vita di Maria Cutinelli, moglie di Gennaro Cuocolo, uccisa con
undici coltellate.
I due formavano una coppia criminale specializzata in furti di appartamento,
svolgendo il ruolo di basisti
per i compagni camorristi cui fornivano
informazioni e impronte di serrature di appartamenti signorili.
Le indagini
ricostruirono i fatti a partire dalla sera precedente i due delitti: Cuocolo
aveva pranzato con
una comitiva di camorristi in una trattoria vicino al luogo
del delitto; la compagnia era composta
da Enrico Alfano, detto Erricone,
considerato vero "capintesta" della camorra, suo fratello Ciro, Giovanni Rapi,
maestro elementare e usuraio, da Gennaro Ibello e Gennaro Jacovitti, questi
ultimi manovalanza della camorra.
Il gruppo venne arrestato, ma dopo un mese e mezzo le indagini condotte dalla
questura erano ad un punto morto:
i sospettati vennero rilasciati e il caso
passò al comando dei carabinieri. L'inchiesta venne affidata al capitano
Carlo Fabbroni che non risparmiò accuse di corruzione e d'inefficienza alla polizia
napoletana.
Il processo però non si celebrò a Napoli: troppi ostacoli e tentativi di
corruzione ne avevano determinato
il trasferimento, per legittima suspicione.
Un camorrista detenuto, tale Gennaro Abbatemaggio, già confidente
dei
carabinieri, fornì la sua versione dei fatti: la morte di Cuocolo era stata
decisa in una riunione di camorristi
presieduta da Enrico Alfano, perché
accusato d'essere una spia delle forze dell'ordine. Le accuse di
Abbatemaggio,
che molti osservatori dell'epoca considerarono manovrate dal capitano
Fabbroni, portarono
a nuovi arresti ed all'ordinanza di
rinvio a giudizio. E così nel marzo del 1911, presso la Corte di Assise del
Tribunale di Viterbo in
piazza Fontana Grande, iniziò il famoso e tormentato processo alla camorra
napoletana,
con la popolazione viterbese da un lato preoccupata per l'arrivo
in città di un così gran numero di camorristi
e dall’ altro speranzosa di fare
affari con i tantissimi forestieri che il processo richiamava in città.
Non fu un processo breve: l'elevato numero degli accusati e le numerosissime
testimonianze, oltre alle
rivelazioni del "pentito" Gennaro Abbatemaggio,
tennero la corte impegnata per più di un anno.
Il dibattimento terminò il 9
luglio 1912. Enrico Alfano e i principali imputati, otto in tutto, furono
condannati
a trent’ anni. Ad altri 47 imputati
furono comminate pene minori per associazione a delinquere. Il processo
ebbe risonanza internazionale: da
ogni parte del mondo giunsero a Viterbo giornalisti e fotografi ed
all'avvenimento fu dato ampio
risalto con articoli corredati da disegni e fotografie. Molte sono anche le
cartoline che gli editori nostrani
pubblicarono nel 1911.